lunedì 27 febbraio 2012

LA SOFFERENZA SENZA CRISTO

Venerabile Mons. Luigi Novarese (L’Ancora: n. 9/10 - settembre/ottobre 1970)
Per le mani di Maria, custodire in noi la presenza di Cristo Signore. Sovente si sente l'interrogativo, “so Dio c'è, perché ci devo essere il male? Perché le cose debbono andare tanto alla rovescia? Perché c'è questa tolleranza di offesa, di bestemmie, di peccati? Perché le vicende umane non sono meglio regolate?” (Paolo VI, 13X11964). Tutti perché profondi, angosciosi ed angoscianti che si agitano nel più profondo dei cuore di ogni uomo e che, evidentemente, hanno un loro significato ben preciso, quello, se non altro, di spingere l'umana ragione a cercarne la soluzione non soltanto dentro di sé corn l'aiuto della ragione, ma anche al di fuori di sé per vedere su quali realtà egli possa basarsi per una soluzione chiara e convincente. Sovente la creatura che non riesce a scoprire una soluzione ai problemi che la tormentano finisce coi cadere nella tentazione dei più tetro fatalismo, come se tutto fosse retto e governato da non si sa quale artefice crudele. Le varie teorie filosofiche di moda antica e recente, come ad esempio il razionalismo, l'illuminismo, il materialismo ed il naturalismo pur partendo da principi totalmente opposto tra loro, non soltanto dicono proprio nulla su tali problemi fondamentali ma per quanto riguarda i1 dolore o le conseguenze della malattia portano e conclusioni ed applicazioni raccapriccianti, come ad esempio la selezione razzista, l’eliminazione dei menomati, in Cina, oppure lo sfruttamento della sofferenza per un'attività politica come in Russia. Considerando la genesi, lo sviluppo e l'applicazione delle tante teorie ateistiche, facile e sicura è per lo meno una conclusione: l'uomo ha sempre preso di mira tali problemi e mai è riuscito a darne un'impostazione convincente, non avendo egli in se stesso la possibilità di vincere e superare il dolore. Certuni arrivano ad affermare che la presenza dei dolore nella vita dell'umanità ed in modo particolare la presenza dei dolore Innocente o attestano l'assenza di Dio o dicono, addirittura, la presenza di un Dio tiranno e sadico che gioisce nella visione di tanta sofferenza. Non di rado però questi pensatori così strani nel loro modo di pensare, terminano la propria esistenza con un grido di disperazione e di ricerca di quel Dio che non hanno voluto riconoscere, vedi Nietszche nel dialogo tra Zarathustra ed il vecchio mago. Tutte le suddette teorie concordano nel sostenere che l'uomo deve vivere alla giornata, senza alcun vincolo e limitazione morale perché tutto termina con la cessazione della vita. La denuncia però della propria impossibilità a risolvere un problema, non dice che Il problema non debba essere affrontato e risolto. Ben a ragione, dunque, l'umanità scossa da ammirazione per le suo scoperte e la sua potenza, agita però spesso ansiose questioni sull'attuale evoluzione dei mondo, sul posto e sul compito dell'uomo nell'universo, sul senso dei propri sforzi Individuali e collettivi, ed ancora sul fine ultimo delle cose e degli uomini”. (Chiesa nel mondo contemporaneo). E questo perché in tutti i vari sistemi filosofici che escludono un Dio creatore, perfetto, provvido e, per di più, Redentore, non danno nessunissima risposta al grande problema della sofferenza che continua ad essere aperto. E' vero che “l'uomo non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose al di sopra di noi, Indipendentemente dalla nostra volontà e della corporali ed a considerarsi più che soltanto una particella della natura, o un elemento anonimo della città umana”. (Chiesa nel mondo contemporaneo, 14), ma riconoscendosi re del creato, dotato di una sete insaziabile di perfezione, deve, per logica conseguenza, entrare nella profondità dei proprio cuore e risalire dalle realtà visibili alle realtà invisibili ed a scrutare nelle profonde ed incancellabili linee della storia dell'umanità se Dio abbia o no allacciato un dialogo con la creatura ed abbia o no dato una risposta al tanti perché che torturano l'umana esistenza. Nella foschia, risplenda la luce del Cristo che illumina la via L'uomo che voglia risolvere da solo i propri problemi e destini finali dimostra che è una gran povera creatura che, mentre depreca il dolore e gli va magari storicamente Incontro, non soltanto resta sempre un vinto senza speranza, ma dà testimonianza, proprio con la stessa ragione che non vuole ammettere Dio. che egli ha In se stesso, sia pure non usandole rettamente, facoltà spirituali capaci di sintesi e di astrazione che animano il suo corpo e che non possono, per conseguenza, essere giudicate alla stregua delle cose che si vedono e che si toccano. Proprio, queste realtà spirituali Interiori devono convincere l'uomo a guardare verso l'alto e a ricercare, almeno in forza di un dubbio prudente, se al di fuori di lui può trovare la risposta ai tanti perché che lo assillano. L'universalità poi, di un'intima ed inestinguibile sete di continua ricerca di perfezione umana e sociale, di un Dio creatore e reggitore di ogni cosa, di una vita perenne oltre la tomba, non è ancora una prova suadente che dobbiamo allacciarci a qualcosa che deve venire dal di fuori di noi, ma che già ha le sue radici in noi e che ci renderà, quale frutto della sua scoperta, creature nuove, con possibilità Interiori nuove, tali da conseguire quanto con precisione e verità avvertiamo con tanto raccapriccio dentro di noi? Non credendo l'uomo al Messaggio di salvezza dei Cristo e non accettando la Sua parola che lo libera da qualsiasi legame e gli schiude orizzonti nuovi, “la libertà umana viene lesa in maniera assai gravemente e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e dei dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione”. (La Chiesa nel mondo contemporaneo n. 21). “In faccia alla morte l'enigma della condizione umana diventa sommo. Non solo si affligge l'uomo al pensiero dell'avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per li timore che tutto finisce per sempre” (La Chiesa nel mondo contemporaneo n. 18). E' in realtà una constatazione di fatto e da tutti accettata che il dolore è in se stesso essenzialmente qualcosa di negativo, di antinaturale; un male che per quanto possibile va debellato, una “disperata inutilità” (Paolo VI, 27.111.1964). L'impostazione naturalistica e materialistica dell'esistenza sovente denuncia con i suoi terribili risultati, di cui le cronache sono piene, le sue falle enormi e disastrose, che portano l'uomo alla più catastrofica disperazione; con la morte si cerca di sfuggire il dolore, pensando di sprofondare nel nulla, dimentichi che la seconda componente della vita dell'uomo, l'anima, non può morire. Non possono le varie teorie filosofiche e le più stravaganti impostazioni odierne dei modo di vivere, distruggere, sminuire, o anche momentaneamente ritardare le ineluttabili e somme realtà che esistono nostra accettazione o meno; l'uomo non può condizionare Dio e Dio è l'unica realtà che veramente ci interessa. E' certamente la sofferenza una ferita alla natura umana, di cui, senza la parola di Dio non si sa nè l'origine nè il perché e quel che è peggio non si sa come curarla. Rettamente giudice l'istinto dei cuore, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina di annientamento definitivo della persona. Il germe dell'eternità che l'Uomo porta in sé irriducibile com'è alla sola materia insorge contro la morte. “Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi non riescono a colmare le ansietà dell'uomo; il prolungamento della longevità biologica non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore che sta dentro invincibile nel suo cuore” (Chiesa nel mondo contemporaneo n. 18). E la Chiesa tradirebbe la sua missione se lasciasse l'uomo nella illusione che la felicità, sia pure raggiungibile, dei benessere, è sufficiente al destino al quale è rivolto la vita dell'uomo e che questa non comporta ben altre esigenze che quella che il benessere culturale ed economico moderno può soddisfare. “Tutti sappiamo come l'edonismo conduce l'uomo a fermarsi entro confini di se stesso, a non superarsi, come sarebbe suo radicale destino e perciò ad accrescere senza fine i suoi desideri, anzi a soddisfarli e livelli gradualmente inferiori alla propria statura razionale, eretta verso la misteriosa trascendenza religiosa; a cercarne l'insaziabile compimento nelle più degradanti passioni, nello smarrimento dei fini superiori, nel vizio e nella angoscia” (Paolo VI, Ceneri, 11.3.1970).

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